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Olio di semi: come uno scarto industriale minaccia la nostra salute


Quanti di noi leggono con attenzione le etichette dei prodotti che acquistiamo? Tra gli ingredienti più comuni troviamo gli oli vegetali, presentati spesso come alternative "sane" ai grassi animali. La storia dietro questi prodotti nasconde una verità sorprendente che merita di essere raccontata.


Tutto iniziò durante la rivoluzione industriale del 1800, in un'epoca di rapida crescita demografica e forte domanda di grassi. All'epoca, il grasso di balena era la fonte principale per illuminazione, saponi e lubrificanti - una risorsa costosa e insostenibile che necessitava urgentemente di alternative.

La svolta arrivò in modo inaspettato dall'industria tessile. La lavorazione del cotone produceva enormi quantità di semi considerati scarti industriali, fino a quando nel 1857 si scoprì come estrarne l'olio. Inizialmente utilizzato per l'illuminazione, questo prodotto perse rapidamente mercato con l'avvento del petrolio.

È qui che William Procter e James Gamble, fondatori della P&G, videro in questo sottoprodotto un'opportunità. Dopo averlo utilizzato per saponi e candele, ebbero un'intuizione rivoluzionaria: trasformare l'olio di cotone, originariamente tossico, in un sostituto del lardo, che al tempo era il principale grasso utilizzato in cucina. Nacque così il Crisco, il primo grasso vegetale industriale idrogenato.


La strategia commerciale fu magistrale: una campagna marketing a tutto campo, con distribuzione di ricettari gratuiti, sponsorizzazioni radiofoniche e una narrativa che presentava il prodotto come "più puro", "più digeribile" e "più moderno" dei tradizionali grassi animali. Il colpo maestro fu il massiccio finanziamento all'American Heart Association, che acquistò improvvisamente molta rilevanza e iniziò a promuovere attivamente i grassi vegetali come alternativa più salutare ai grassi animali nonostante l’assenza di prove concrete.


Il risultato fu che in soli trent'anni, l'olio di semi di cotone divenne il grasso più utilizzato nelle cucine americane, aprendo la strada all'era degli oli vegetali industriali che ancora oggi dominano il mercato alimentare. [1, 2]

Per indagare questa nuova linea guida sul consumo di grassi, negli anni 60 e 70 si fecero grandi studi RCT (randomizzati controllati) che sostituendo in un gruppo di pazienti i grassi saturi con oli di semi. Nonostante in questi studi si ottenesse un crollo del livello di colesterolo e da alcuni studi emerse un leggero calo degli eventi cardiovascolari in chi assumeva olio di semi, non si evidenziò nessun abbassamento della mortalità per tutte le cause statisticamente rilevante [2, 3]. Diversi studi mostrarono un aumento della mortalità per cancro [2, 3, 4, 5]. Il Los Angeles Veterans Administration Study, svolto su 846 pazienti, mostrò un aumento dell’incidenza di cancro dell’82% nel gruppo che consumava olio di semi [6].

L’analisi dei dati ottenuti dal Minnesota Coronary Experiment condotto tra dal 1968 al 1973 mostrò un aumento della mortalità associato a un calo del livello di colesterolo [7] e il Sydney Diet-Heart Study condotto su 458 pazienti, dopo 7 anni mostrò un aumento della mortalità del 62% nel gruppo che consumava olio di semi rispetto a chi consumava grassi saturi. Questo studio terminò nel 73, ma i dati completi furono tenuti nascosti e vennero pubblicati solo dopo il loro ritrovamento nel 2013 [8].

L’argomento è tuttora controverso e si trovano pubblicazioni che dicono cose molto contrastanti. Di certo c’è che non ci sono evidenze rilevanti che limitare il consumo di grassi saturi che l’essere umano ha consumato dall’alba dei tempi, a favore del consumo di olio industriale prevenga le malattie cardiovascolari o riduca la mortalità. Ma nonostante accorati appelli da parte di eminenti nutrizionisti, le linee guida sul consumo dei grassi continuano a rimanere invariate [9, 10].


Ma da dove arriva l’olio di semi?


Quando pensiamo agli oli vegetali, immaginiamo un processo di spremitura. La realtà è ben diversa e decisamente meno naturale. Si inizia con l'utilizzo di solventi chimici, come l'esano (un derivato del petrolio), per massimizzare l'estrazione dell’olio. Il prodotto grezzo che ne risulta è tutt'altro che appetibile: scuro, maleodorante e ricco di impurità.

Per renderlo commerciabile, l'olio attraversa una serie di processi chimici industriali:


- Demucillaginazione

- Deacidificazione con soda caustica o solventi

- Decolorazione

- Deodorazione ad alte temperature

- Demargarinizzazione


Il risultato è un prodotto apparentemente "pulito", ma privato della maggior parte delle sue proprietà nutritive originali [11].

Per capire esattamente di cosa stiamo parlando vi consiglio di vedere questo video sull'estrazione dell'olio di colza: https://youtu.be/Cfk2IXlZdbI?si=TlrjfBZEAj2Gt4N4


Ma perché dovrebbe essere nocivo?


Per comprendere perché questi oli possono essere problematici per la nostra salute, dobbiamo addentrarci brevemente nella chimica dei grassi, che tecnicamente si chiamano acidi grassi.

Gli acidi grassi si dividono in due categorie principali [12]:


  1. Grassi Saturi: Hanno una struttura molecolare stabile e resistente all'ossidazione, con una catena di carboni completamente "saturata" di idrogeno.


  2. Grassi Insaturi: Presentano uno o più doppi legami nella loro struttura (mono-insaturi o poli-insaturi), che li rendono più vulnerabili all'ossidazione.



La differenza da un punto di vista biologico è estremamente importante.

Le membrane delle nostre cellule sono costituite principalmente da grassi saturi, che grazie alla loro struttura lineare si compattano efficacemente, garantendo la giusta rigidità e fluidità a temperatura corporea. Al contrario, i grassi insaturi, tipici delle piante e dei pesci, grazie alla loro struttura "piegata" rendono le membrane cellulari meno compatte e mobili anche a basse temperature. Se così non fosse i pesci non potrebbero nuotare e i semi non potrebbero schiudersi.

Per questo motivo il nostro organismo è formato principalmente di grassi saturi.

Abbiamo però anche bisogno di una piccola quantità di grassi insaturi che usiamo come molecole di segnale cellulare, denominati "essenziali" perché il nostro corpo non può sintetizzarli autonomamente e deve per forza assorbirli dal cibo. In base al primo carbonio che forma il doppio legame questi si suddividono in due famiglie principali:


  1. Omega 3


  2. Omega 6


Entrambi svolgono ruoli cruciali come molecole di segnalazione per molteplici funzioni. Semplificando possiamo dire che hanno effetti quasi opposti nel regolare queste funzioni, come la regolazione dei processi infiammatori e la segnalazione cellulare. Per svolgere la loro funzione gli omega 6 si basano su un'azione prevalentemente pro-infiammatoria, mentre gli omega 3 hanno una azione prevalentemente anti-infiammatoria. Entrambi sono essenziali per stare in salute, ma per un funzionamento ideale di questi meccanismi il rapporto tra i due tipi di grassi dovrebbe essere vicino a 1:1 [13]. Un rapporto ideale tra i due grassi si trova nella carne di animali da pascolo, ma già negli animali d’allevamento, a causa del mangime di scarsa qualità ricco di semi, si ha uno sbilanciamento verso gli omega 6 [14].

Una certa dose di omega 6 è quindi necessaria. Però se la quantità è eccessiva si va incontro a uno sbilanciamento del rapporto omega 6 – omega 3 a favore degli omega 6.

Questo eccesso di omega 6 è inevitabile se si consumando prodotti industriali ricchi di olio di semi, composto quasi esclusivamente di omega 6. Così si arriva ad avere un rapporto tra omega 6 e omega 3 anche superiore a 20:1. Questo è un marker dell’eccessiva presenza di questi grassi facilmente ossidabili che stimolano processi infiammatori e interferiscono con svariate funzioni cellulari.


Gli omega 6 ossidati vanno ad alterare la composizione della cardiolipina, una molecola fondamentale per il metabolismo energetico che troviamo nella membrana interna dei mitocondri. Compromettendo l’integrità strutturale dei mitocondri, diminuisce l’efficienza della catena di trasporto degli elettroni, con ridotta produzione di ATP e un aumento dello stress ossidativo, fino ad arrivare alla morte cellulare [15, 16, 17]. Questo danno al cuore del metabolismo di tutte le cellule dell’organismo spiega come mai l’eccesso di omega 6 si manifesta con patologie che interessano tutti i tessuti: obesità [18], diabete di tipo 2, steatosi epatica, il mal di testa [19], malattie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson, malattie cardiovascolari [20], neoplasie [21, 22], ictus [23], ma anche disfunzioni immunitarie[24, 25], con un aumento di malattie autoimmuni, asma [26] e allergie[27].

Meccanismo proposto di come gli acidi grassi polinsaturi ossidati (OXLAM = Metaboliti dell'Acido Linoleico Ossidato) vadano a danneggiare le cellule. Il consumo dietetico di OXLAM aumenta la perossidazione lipidica nonché l'ossidazione degli acidi grassi mitocondriale e perossisomiale, provocando un aumento della produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS). Livelli elevati di ROS stimolano il livello di proteina di interazione con la tioredoxina (TXNIP) nel fegato, che attiva il fattore 1 regolante il segnale apoptotico (ASK1) nella cellula. L'ASK1 attivato nel citoplasma e nei mitocondri stimola rispettivamente la fosforilazione p38 e il taglio della Caspasi-3 (cl.Casp3), associato a un aumento dell'apoptosi. Nei mitocondri, gli OXLAM inducono disfunzione mitocondriale downregolando la proteina del Complesso I (NADH-deidrogenasi) e riducendo il livello di ATP epatico, determinando un aumento della biogenesi del DNA mitocondriale e il rilascio del DNA mitocondriale nel citoplasma dove potenzialmente può legarsi e stimolare l'inflammasoma NLRP3, aumentando l'attivazione della Caspasi-1 e il taglio dell'interleuchina-1β (IL1β). [39]
Meccanismo proposto di come gli acidi grassi polinsaturi ossidati (OXLAM = Metaboliti dell'Acido Linoleico Ossidato) vadano a danneggiare le cellule. Il consumo dietetico di OXLAM aumenta la perossidazione lipidica nonché l'ossidazione degli acidi grassi mitocondriale e perossisomiale, provocando un aumento della produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS). Livelli elevati di ROS stimolano il livello di proteina di interazione con la tioredoxina (TXNIP) nel fegato, che attiva il fattore 1 regolante il segnale apoptotico (ASK1) nella cellula. L'ASK1 attivato nel citoplasma e nei mitocondri stimola rispettivamente la fosforilazione p38 e il taglio della Caspasi-3 (cl.Casp3), associato a un aumento dell'apoptosi. Nei mitocondri, gli OXLAM inducono disfunzione mitocondriale downregolando la proteina del Complesso I (NADH-deidrogenasi) e riducendo il livello di ATP epatico, determinando un aumento della biogenesi del DNA mitocondriale e il rilascio del DNA mitocondriale nel citoplasma dove potenzialmente può legarsi e stimolare l'inflammasoma NLRP3, aumentando l'attivazione della Caspasi-1 e il taglio dell'interleuchina-1β (IL1β). [39]

I danni legati all’alto consumo di omega 6 vengono ancora dibattuti per la mancanza studi randomizzati a lungo termine. Purtroppo svolgere questi studi al giorno d'oggi è letteralmente impossibile sia da un punto di vista tecnico che economico. Per questo bisogna accontentarsi delle pubblicazioni apparse negli anni '60 e '70 e di altri tipi di evidenze per valutare la pericolosità degli oli di semi.

Ci sono però abbastanza evidenze da aver spinto i legislatori a fare qualcosa per una sottofamiglia dei grassi poli-insaturi, la cui dannosità è ormai da tempo accettata e che si stima faccia tuttora centinaia di migliaia di morti ogni anno [29]: i grassi trans.




I grassi poli-insaturi sono molto proni all’ossidazione e si denaturano facilmente. Il meccanismo chiamato idrogenazione scopeto da Procter e Gamble per produrre il Crisco serviva proprio a stabilizzarli rendendoli saturi. Per idrogenare i grassi insaturi servono alte temperature, alta pressione e catalizzatori che forzano il legame tra gli atomi di carbonio che formano il doppio legame con due atomi di idrogeno. L’idrogenazione rende i grassi stabili, meno proni a ossidarsi e in base alla frazione idrogenata sono più o meno densi, rendendoli perfetti per la produzione di alimenti industriali.

In questo processo può però restare intatto il doppio legame tra i carboni e quello che cambia è solo la conformazione del doppio legame tra i carboni, che passa da cis a trans. Questa nuova forma rende i grassi trans impossibili da metabolizzare dal nostro organismo e questi vanno ad accumularsi nelle cellule danneggiandole [29].

Questi danni sono legati a un aumento della mortalità, patologie cardiovascolari [30], diabete di tipo 2 [31], demenza [32], neoplasie [33], obesità [34], insufficienza epatica [35], infertilità [36], disturbi psichiatrici [37]e della memoria [38]. Anche in questo caso si tratta prevalentemente di associazioni, ma la quantità di dati è talmente importante che è stato impossibile non intervenire.

I primi sospetti della dannosità dei grassi trans risalgono al 1981, ma è solo da pochi anni che l’OMS ha riconosciuto la loro pericolosità e ha deciso di bandirli. L’unione europea invece ha imposto un limite di grassi trans del 2% del grasso totale dei prodotti alimentari. Considerando che questi grassi si accumulano nell'organismo lascio a voi le dovute considerazioni.




Bibliografia


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